Stampa
Categoria: L'attraversamento stabile dello Stretto di Messina
Visite: 4785

L’ingegner Navone, nato a Busalla (GE) nel 1842 e morto a Genova nel 1919, è stato un ingegnere, uno storico e un politico italiano. Ha terminato gli studi presso la Scuola d'Applicazione per gli ingegneri laureati in Torino nel 1870 presentando un progetto di attraversamento ferroviario dello stretto di Messina mediante un tunnel sottomarino da realizzarsi tra Villa San Giovanni e Ganzirri. In seguito, cooperò al tracciamento della ferrovia lucana e al progetto della ferrovia Circumetnea. Progettò inoltre la cosiddetta succursale dei Giovi (linea veloce per Genova), alternativa alla vecchia linea di valico e sviluppata con numerosi ponti e gallerie, poi realizzata verso il 1880, e successivamente una nuova linea direttissima Milano-Genova (antesignana del terzo valico). È interessante leggere l’introduzione storica e le riflessioni contenute nella premessa del suo progetto di attraversamento sottomarino dello stretto di Messina del 1870.

Fig. 1 –  “Passaggio sottomarino attraverso allo stretto di Messina per unire in comunicazione continua il sistema stradale ferroviario siciliano alla rete della penisola” - “Progetto di Massima” - ing. Antonio Carlo Navone - 1870

“Quale più grandioso spettacolo che vedere le navi di tutta Europa attraversare il deserto per passare dal Mediterraneo al Mar Rosso (LINK), e di là alle Indie ed alla China? E crediamo non sia ripromettersi troppo dal secolo presente, sperando vedere l’America divisa in due (LINK), e la Gran Brettagna congiunta al Continente Europeo per continua comunicazione (LINK). Ma, poiché i bisogni dell’uomo sono progressivi, v’ha luogo a sperare ancora che venga il tempo in cui si possa salire sopra un convoglio a Londra per scenderne a Bombay od a Calcutta, senza neppure temere di chinarsi due volte sotto il mare (LINK); perfettamente come ora si parte da Nuova-York e si arriva a San Francisco, tutta attraversando la deserta America del Nord (LINK).
Forse Navone fu un visionario? Certamente no, ma il periodo storico imponeva di guardare al futuro in modo positivo.

È incredibile constatare l’attualità del pensiero dell’ingegner Carlo Navone che ci fa immergere nell’atmosfera dell’epoca.

“Ma per un altro carattere importantissimo ancora l’età presente andrà sicuramente distinta da tutte quelle, che la precedettero. Di fatto l’incremento che in essa sono venute acquistando le vie di comunicazione per terra e per mare è così grande, e la facilità nei trasporti delle ricchezze fisiche ed intellettuali così importante, che niuna età passata ha certamente nulla da contrapporvi.
Il telegrafo elettrico, che conquise in una volta lo spazio ed il tempo, le strade ferrate, le lunghe gallerie che arditamente tentando le viscere dei monti trionfano dei più imponenti ostacoli della natura, le moli immani di ferro che animate dal vapore solcano i mari, i ponti di acciaio fuso di 150 e più metri di corda , la rapidità dei progressi, la diffusione delle idee, tutto infine costituisce una serie di realtà al cui confronto le illusioni del romanzo orientale impallidiscono: qui il reale è superiore alla finzione nella scala del meraviglioso. Pure la vista di tutte queste cose si è già così intrecciata colle nostre abitudini che la famigliarità ne ha scemata per esse parte della nostra ammirazione.
Sono un aperto indizio della potenza e della floridezza di un popolo le sue vie di comunicazione. I Romani diedero opera attivissima ad allacciare con una vasta rete di strade le varie provincie del loro dominio; ed ancora oggigiorno gli avanzi di quelle opere formano l’ammirazione degli uomini dell’arte. Sopravvenuto indi il Medio-Evo, le strade, non che accrescersi, scomparvero a grado a grado: e quando in Italia specialmente i tempi volsero propizi ad un mirabile risveglio di commerci, di arti e d’industrie, la sterminata quantità di piccoli Stati vi fu d’ostacolo all’incremento delle strade, come altrove lo furono il feudalismo e la meno progredita coltura.
Quando poi finalmente venne la Rivoluzione francese che produceva il totale sfacelo delle istituzioni feudali, cominciò l’era nuova delle vie di comunicazione: ma lo svolgimento ne fu inceppato dalle guerre che susseguirono quel grande avvenimento politico, perdurando fino alla battaglia di Warterloo.
Napoleone però, a cui non era sfuggita la grande importanza di un completo sistema di strade, ne concepiva un piano che doveva abbracciare tutta l’Europa; ma la sua caduta impediva la realizzazione del grandioso progetto.
Cessato intanto il fragore guerresco di quei giorni, e stabilita la pace, le nazioni europee volgevano ogni loro attività al commercio ed all’industria; sentirono esse allora il bisogno di buone vie di comunicazione, e si diè tosto mano attiva a costruirne.
Il problema tuttavia dei rapidi trasporti sulle strade ferrate, mediante il vapore, non venne risolto che nel 1830. Da quel tempo la costruzione delle ferrovie senza rallentare un solo istante procedette mirabilmente infino a noi. Epoca la nostra di transizione, in cui tutti gli sforzi dell’ingegnere sono rivolti al completamento della grande arteria mondiale, solennemente inaugurata colla rivoluzione; incominciata durante l’impero, e proseguita specialmente dopo la caduta del primo Napoleone.
Da molti anni pertanto le nazioni civili sono con singolar cura intente all’incremento delle strade ferrate, come ad uno dei più potenti e sicuri mezzi di secondar l’industria ed il commercio: e la pubblica attenzione segue con pari cura il progressivo svolgimento del servizio ferroviario, dal quale a ragione si ripromette i più grandi frutti. Quali saranno i risultati di questo lungo e costante lavoro, la cui utilità è così generalmente sentita? Non è difficile prevederli.
Quando, mercé le strade ferrate, la stampa, il telegrafo elettrico i battelli a vapore, ogni popolo possederà ciò che viene posseduto da un altro popolo; quando le ricchezze fisiche ed intellettuali saranno tutte in comune, il mutuo interesse dimostrerà essere la guerra un attentato alla prosperità generale. E, dopo d’essersi per tanti secoli avvicinati gli uni agli altri per venire a contesa, i popoli ormai si porranno a contatto per porgersi una mano fraterna, ed alle vecchie antipatie nazionali e politiche, che per un sì lungo tempo divisero e ruinarono gli Stati limitrofi, daranno la più recisa smentita gli Stati Uniti d’Europa. Ma se pure, malgrado questa tendenza generale verso la concordia e verso i pacifici progressi della società, la guerra scoppiasse ancora una volta, chi non vede che, mercé le vie di comunicazione perfezionate, dessa non tarderà a toccare un sollecito fine stanteché una sola battaglia deciderà della sorte di un paese! Sadowa è là per confermarlo!”

A Sadowa il 3 luglio 1866 avvenne l’omonima battaglia chiamata anche battaglia di Königgrätz (Hradec Králové in ceco) che concluse la guerra austro-prussiana a favore della Prussia e influì in modo decisivo sulle sorti della terza guerra di indipendenza italiana.

“Fu un eccellente esempio della nuova strategia militare che consisteva in complesse manovre di unità separate e nella concentrazione delle stesse sul campo di battaglia in modo sincronizzato nelle posizioni studiate per intrappolare e/o distruggere una forza nemica ("marciare separati, colpire insieme"), con un massiccio utilizzo delle moderne armi da fuoco dell’epoca al posto di assalti frontali alla baionetta seguiti da combattimenti corpo a corpo. In tale occasione furono sperimentati nuovi sistemi di comunicazione come il telegrafo e la telescrivente, oltre all'utilizzo delle ferrovie per lo spostamento delle truppe.”

Ricordiamo, che subito dopo l’unità d’Italia, negli anni ’60 del XIX secolo, la Società Vittorio Emanuele aveva in programma la costruzione di due linee ferroviarie che si snodavano da nord a sud attraverso tutta la Sicilia, per un totale di circa 640 chilometri (notizie tratte dal libro “Sangue ferro e oro” di Christian Wolmar – Edizione italiana EDT srl 2011).
L’obiettivo era quello di realizzare un sistema di trasporti costruito con i fondi del governo, che lo considerava soprattutto un servizio sociale e un mezzo per stimolare lo sviluppo economico e non tanto un’impresa commerciale chiamata a produrre utili.
La speranza dell’epoca si basava sull’idea che l’unificazione dell’Italia avrebbe spronato lo stesso tipo di sviluppo economico che si era verificato in quegli stessi anni negli Stati Uniti.
La Società Vittorio Emanuele disponeva dei fondi necessari all’investimento, essendo stata costretta a vendere le sue filiali francesi alla Paris-Lyon-Méditerranée come ricompensa dell’aiuto offerto al Piemonte da Napoleone III per sconfiggere gli austriaci. Impaziente di espandere le sue ferrovie, la società assorbì generosi sussidi governativi per intraprendere il progetto siciliano, ma il piano era troppo ambizioso anche per una compagnia apparentemente così ricca. I lavori iniziarono nel 1863, ma dopo cinque anni erano stati completati meno di 160 chilometri. La società fece bancarotta e lasciò che fosse il governo a raccogliere i pezzi. La lentezza dei lavori era in parte legata alla malaria, allora endemica sull’isola, i cui effetti debilitanti sugli operai erano stati sottovalutati dalla compagnia. Capitava che in estate più del 50% della manodopera fosse assente per aver contratto la malattia, le cui cause erano allora sconosciute, e anche chi tornava a lavorare era spesso indebolito dai suoi effetti. Dopo l’acquisizione da parte dello stato, nel 1872 furono portati a termine i progetti iniziali con il successivo completamento di una fitta rete di linee che, all’epoca della Prima guerra mondiale, contavano complessivamente più di 2.400 chilometri.
Tornando all’ing. Navone, sempre nella parte introduttiva del suo progetto di massima relativo all’attraversamento ferroviario dello stretto di Messina mediante un tunnel sottomarino, accenna al “Sistema ferroviario italiano in relazione col sistema europeo”:

“Le strade ferrate, scrive il comm. G. Bella, dal modesto ufficio di giovare all’industria privata, in alcuni dei più potenti Stati Europei eransi elevate al grado di servire alle comunicazioni di primo ordine quando l’Italia stava per lo meno dubbiosa ed irresoluta nello accingersi a farne lo esperimento. Vinte finalmente le esitazioni, entrò anch’essa nella via di tanto progresso; e gli uomini intelligenti non tardarono a prevedere i grandi risultamenti che questa meravigliosa invenzione del nostro secolo avrebbe avuto, collo sviluppare potentemente le reciproche relazioni civili e commerciali fra i popoli sparsi dalle Alpi all’estrema Sicilia.
Ma, divisa politicamente in otto Stati come era per l’addietro, l’Italia non poté seguire l’esempio di quanto si fece in Francia, ed in Inghilterra specialmente, né studiare un insieme bene inteso per la rete delle strade ferrate italiane, coordinate alla sua geografica configurazione. Ogni Stato mirando al proprio interesse non poté pensare che a sé stesso. In tutti però gli Stati italiani, ove con maggiore ed ove con minore spontaneità e sollecitudine, vennero incoraggiate e favorite le imprese per la costruzione di strade ferrate le quali, nelle provincie subalpine particolarmente sotto l’egida di più libere istituzioni, ebbero, col sussidio delle private associazioni, un notabile svolgimento.
Ma non fu che dopo la pace di Villafranca (di Verona) che si cominciò a pensare seriamente al coordinamento dei vari tronchi già costrutti, fino allora rimasti più o meno isolati, come i Governi che li costruirono o ne accordarono la costruzione. Tale idea si fece più potente dopò la proclamazione del Regno d’Italia avvenuta nel 1864 ai 30 di aprile: finché nel 1865 si concepiva il vasto concetto del riordinamento ed assetto organico delle Società italiane di strade ferrate, le quali si volevano distribuite in quattro grandi gruppi, in più economico rapporto colla disposizione topografica della nostra Penisola e colla idea di costituire poche ma forti Società. E però forse restano ora solo a farsi voti sinceri affinché col tempo non ne rimanga che una sola, la quale trovi maggiore convenienza di rendere più semplice e profittevole il servizio che a ciascun gruppo deve ora appartenere.
Colla legge 14 maggio 1865 detta, del riordinamento ed ampliamento delle strade ferrate, si venivano pertanto sanzionando le proposte combinazioni in grazia delle quali la rete italiana risultò divisa nei quattro gruppi così designati:
Gruppo delle ferrovie dell’Alta Italia;

oltre la Rete ferroviaria della Sardegna.
Per tal modo, e dall’epoca della costituzione del Regno d’Italia furono fatti nella costruzione delle nostre ferrovie assai rapidi progressi; trovandosi ora più che raddoppiata, nel breve giro di 9 anni, la lunghezza delle linee aperte al pubblico servizio. Ed è appunto, mediante questi rapidi progressi, che l’Italia tiene ora, in fatto di ferrovie, un posto distinto fra le principali Potenze europee. Il che torna grandemente ad onore della nostra patria; specialmente se si consideri la crisi naturale che dovette attraversare per la conquista della sua indipendenza e la costituzione della sua unità.
Ora il nostro sistema ferroviario, nonostante lo sconcerto di molti interessi fondati su tutt’altre relazioni che non siano quelle che via via si vanno stabilendo e sempre più rassodando fra noi, prese già tale uno svolgimento, che si può dire volgere interamente verso il suo completamento; almeno fino a tanto che lo svegliarsi di novelli interessi faccia nascere il bisogno di altri tronchi ferroviari. L’Italia infatti chiudeva l’anno 1869 con 5.908 chilometri di via ferrata in esercizio, e molti altri di prossimo compimento.
Ma il nostro sistema ferroviario italiano, stabilita che sarà la rete di interna comunicazione peninsulare, resterebbe monco ove non trovasse il suo completamento nei Varchi alpini al Settentrione d’Italia, e nel Passaggio dello Stretto di Messina al Sud, in modo da unire, con un tratto continuo di comunicazione, la Rete siciliana a quella della Penisola. Una corona di Passaggi alpini, in parte compiuti, in parte in esecuzione, in parte progettati soltanto, irradierà allora dalla vallata del Po a stendere mano amica alle Nazioni sorelle d’oltremonte che ci stanno d’intorno: così cadranno quelle enormi barriere dalle vette nevose, che non bastarono a difenderci da tante invasioni!”

Il progetto redatto dall’ingegner Navone prosegue, sempre nella parte preliminare, trattando del “Sistema ferroviario peninsulare italiano e Sistema ferroviario siciliano: Unione dei due sistemi per mezzo di una Galleria sottomarina”.

“In tesi di massima, a parte la vallata del Po, due lunghe linee ferroviarie costeggiano lo Stivale italiano andando da Settentrione-Ponente ad Ostro-Levante: ed altre linee secondarie, in direzione più o meno normale alle prime, corrono dall’uno all’altro litorale, attraversando la catena dell’Appennino. Per tal modo s’intesse una rete continua di quadrilateri sul suolo italiano; la quale poi si ripiega a mezzodì d’Italia, sul piede dello Stivale, verso lo stretto che separa la Sicilia dalle terre continentali, o fa capo a Reggio di Calabria.
Al di là di questo Stretto giace un altro sistema ferroviario: è il sistema stradale ferroviario della Sicilia, che dovrà circuire questa ricca e popolosa isola ed attraversarla in più punti tostochè esso abbia conseguito il suo completo sviluppo.
A collegare quest’ultimo sistema ferroviario con quello della Penisola, tende appunto il Progetto di galleria sottomarina che noi proponiamo (vedi piano unito Fig.3). I due sistemi verrebbero per tal modo ad unirsi, completandosi a vicenda; e l’Italia troverebbe al mezzogiorno il complemento naturale della sua arteria stradale nell’estrema Sicilia. Sarà questa una nuova via di comunicazione aggiunta alle tante altre, che ha saputo creare questo secolo avido di progresso.
L’epoca parrà forse finanziariamente poco propizia per invitare l’erario a spendere; ma anzitutto, ad un pessimo passato e ad un cattivo presente, noi non possiamo supporre che sia per succedere egualmente un cattivo avvenire; in secondo luogo abbiamo in mente di dimostrare, e lo faremo in seguito, come l’operazione sarebbe nell’interesse dell’erario, riuscendo ad un risparmio di sovvenzioni.

Congiungere l’isola di Sicilia alla Penisola Italiana non solo non sarebbe impossibile impresa, ma neppure difficilissima, in un’età in cui si compierono, e si stanno tuttavia compiendo tante opere meravigliose.
L’idea poi di questo congiungimento è così ovvia e naturale, o forse così antica, che non sapremmo dire a chi venisse prima, e neppure chi primo avvisasse i mezzi per effettuarla. Sappiamo che si parlò d’un gran ponte da gettarsi sullo Stretto, può darsi ugualmente che si sia parlato pure d’un istmo, o d’una galleria; ma che progetto reale di questo congiungimento sia mai esistito prima d’ora non sappiamo, e non sapremmo neppure quali punti delle due coste si avesse in mente di congiungere, quando per altro non si fossero voluti sottintendere i siti più convenienti.
Del resto, se dei passaggi fossero anche stati proposti, ancora non ne vennero costrutti; e questo basta per interessarci della questione”.

Terminata l’introduzione quanto mai moderna e mai fuori luogo inizia il primo capitolo del Progetto dedicato alla “Geologia”, che pur essendo interessantissimo qui ne riportiamo testualmente solo un breve significativo paragrafo:

“Opinione del chiar.mo prof. Seguenza di Messina sulla natura delle formazioni geologiche dello Stretto”.
Suo giudizio su quella dei terreni attraversati dal Tunnel sottomarino.
«ho prove abbastanza sicure, che la Punta di Pezzo e tutta quella porzione che è colorata in verde, sia costituita da rocce marnose e calcari del pliocene. Il fatto certo, e forse il più importante al caso nostro, si è che tali terreni, terziari e quaternari, tanto siciliani che calabresi, sono fiancheggiati dalle rocce cristalline, sulle quali direttamente essi poggiano, anzi non mancano dei luoghi sul litorale dove si vedono affiorare le rocce cristalline; e tenendo ben anco in calcolo che la spessezza dei terreni neozoici non è molto grande, a mio giudizio si può essere quasi sicuri che la porzione sottomarina del tunnel traverserebbe almeno in gran parte i terreni azoici».

Il secondo capitolo del progetto dell’ingegner Navone è dedicato alla “COSTRUZIONE” ovvero alla “Redazione e descrizione del Progetto di massima”, che ha lo scopo di dimostrare la possibilità e la convenienza economica di collegare il sistema ferroviario della Sicilia a quello della Penisola Italiana, per mezzo di comunicazione sottomarina attraverso lo Stretto di Messina.

Tra l’altro Navone afferma che “La Galleria deve essere possibilmente la più breve, le pendenze le minori possibili; il tracciato deve ammettere un facile raccordamento dei due sistemi, colle curve le più aperte; infine esso deve riuscire il più economico, ed il più utile, sia rispetto alla costruzione che all’esercizio: sono questi i primi quesiti che ci siamo posti, al resto dovrà supplire il senso comune”.

Descrive quindi il tracciato “partendo da Villa S. Giovanni sulla costa calabrese, va più o meno tortuosamente seguendo l’anticlinale dello Stretto con direzione nord-ovest a Ganzirri sulla prospiciente costa siciliana. Villa S. Giovanni e Ganzirri; ecco dunque, o presso a poco, i punti delle due coste che segnano la direzione della parte sottomarina del sotterraneo, il quale, deviando a ciascuna delle estremità, tende mediante ampie curve di raccordamento a condursi sulle coste, dove riesce allo scoperto presso la Villa della Grotta dal lato della Sicilia, sotto il paese di Azarello, da quello della Calabria”.

Fig. 2 – Carta planimetrica del progetto dell’ing. Navone relativo all’attraversamento ferroviario dello stretto di Messina mediante un tunnel sottomarino da realizzarsi tra Villa San Giovanni e Ganzirri.

Fig. 3 – Indicazioni riportate sulla carta planimetrica del progetto dell’ingegner Navone

Fig. 4 – Sezione del tracciato principale della galleria con indicazioni relative alla geologia dei terreni attraversati

Fig. 5 – Sezione della galleria ferroviaria progettata dall’ingegner Navone

Navone precisa: “Colla pendenza adottata, ammettendo le Stazioni d’imbocco, tanto calabrese che siciliana, a 10 metri sovra il livello del mare, si discenderebbe alla parte bassa della galleria con un piano inclinato di 4.250 metri dalla parte della Sicilia; e di altri due piani inclinati di metri 1.000 e 3.750 rispettivamente, dalla parte della Calabria, cioè in tutto metri 9.000 di via a forti pendenze fra le due Stazioni d’imbocco”.

In pratica la lunghezza totale della galleria ipotizzata sarebbe stata di 8.500 m su un totale di 9.000 m, che è la distanza tra le stazioni di Grotta e di Azarello.

Inoltre: "dei quali i primi 800 metri dall’ingresso sulla sponda calabrese nelle rocce tenere, marne e calcari pliocenici; tutta la traversata successiva di metri 7.700 fino all’altro ingresso sulla sponda siciliana nelle rocce dure del gneiss".

 

L’ingegner Navone prosegue: "Le pendenze adottate costituiscono solo un punto di partenza pel tracciato definitivo. — Questa è la soluzione più conveniente che noi abbiamo creduto di poter dare al problema; le pendenze adottate tuttavia non essendo imposte dalla natura, potranno variarsi a volontà ove la convenienza di farlo potesse manifestarsi; esse non istabiliscono per ora che un punto di partenza pel tracciato definitivo che si dovesse adottare. Il tracciato attuale del resto emerge nei suoi caratteri essenziali e, per quanto possa essere suscettivo di modificazioni, queste non pertanto non verserebbero, a noi giova sperarlo, che su punti secondari.

Le ragioni poi che ci persuasero ad accettare una pendenza così forte, e questa anziché un’altra, sono specialmente le seguenti:

  1. Ridurre la lunghezza del traforo;
  2. L’essere tali rampe superabili colle locomotive a forti pendenze”.

Ovviamente, Navone si riferisce alle migliori locomotive a vapore disponibili nel 1870.

La galleria subalvea dell’ingegner Navone, secondo le sue conoscenze, avrebbe incontrato “nei primi 800 metri dall’ingresso sulla sponda calabrese rocce tenere, marne e calcari pliocenici; per tutta la traversata successiva di metri 7700 fino all’altro ingresso sulla sponda siciliana rocce dure del gneiss”.

Alla galleria bisogna aggiungere la parte allo scoperto fino alle Stazioni d’imbocco e poi i tratti sino a Messina e Reggio Calabria.

 

 

Per ulteriori dettagli relativi al progetto di massima dell’ingegner Navone si rimanda alla lettura integrale del testo disponibile gratuitamente su internet (LINK in coda all'articolo) in quanto non più tutelato dai diritti d’autore.

Le spese di costruzione ammontavano a circa 35 milioni e mezzo di lire dell’epoca e il tempo occorrente per la realizzazione era stimato in meno di quattro anni. Dal punto di vista economico e sociale, Navone nel suo progetto aveva stimato un aumento di prodotto netto corrispondente a circa l’11% del capitale investito nell’opera. Nonostante gli inviti rivolti all’ingegner Navone di trasformare il suo progetto di massima in un progetto esecutivo, lui non ha ritenuto opportuno utilizzare il proprio tempo in questa avventura che richiedeva ulteriori conoscenze, mezzi e tempo per arrivare a conclusione certa.

Facebook

_________________________________________________________

LINK a siti in cui è possibile consultare il progetto dell'ing. Navone:

https://play.google.com/store/books/details?id=ZTvovhD_LQIC&rdid=book-ZTvovhD_LQIC&rdot=1

https://play.google.com/books/reader?id=ZTvovhD_LQIC&hl=it&pg=GBS.PA8

https://archive.org/details/passaggiosottom00navogoog/page/n8

https://ia600401.us.archive.org/0/items/bub_gb_pkxaNF7v53cC/bub_gb_pkxaNF7v53cC.pdf